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Corso Vittorio Emanuele II


“Where does Milano stand? Where is Milan, what is left of Milan?

You can say what you like, this is how it begins, Buzzati was right, Aldo Nove is right, you have to get the right mix, go for a wander downtown and walk around the suburbs, travel by bus and tube, as well as by tram, the number 14 (of course) jam-packed, its smells, tattoos, piercings, Chinese, Moroccans and Gypsies, ussignur (Oh my God), and see if you can find out if it’s an open city or a lost city, a vital place or just an informal one, the capital of encounter or the clash, a beehive of isolated cells or a brooding majesty, grown older, revewed, surprised by the skyscrapers and by the Darsena, lost and found again, with a bike sharing, heart aflutter and an unsteady civil conscience.


There is always a longing for the city, el nost Milan (our Milan), even if you live there, living thorough the best (and at times the worst) of tomes, he sixties, the seventies, the eighties of the youppies, the nineties that are best forgotten and the long noughties when the city observed passively the acts of thr highway robbery and parties to the right and to the left were infiltrated by cannibals.


Than without broomsticks, Duralumin and Cerruti Gino, a miracle happened, a modest boom: the Isola district turned into Manhattan, where once there was grass was now a city, and Milan became pop and chic, ligèra (underworld), fashion, schighèra (fog), design and even skyline.

You can say what you like, Milan is here, Scattered in layers, rings, circles or fragments, stylist bumping into each other, museums being updated, ideas flowing one from another.


And photographs that tells its story, different but the same, intensely beautiful, vaguely sad, embellished by Expo that brings the world to its door.

Milan: work, study, effort, passion, hunger, waste, rights, dignity, reconstruction and repair.


What works became excellence, what barely moves is called reawakening.

But maybe it is just hope, longing for the future, an invitation to youth, the courage to set an example. It would be lovely to be able to say that opportunities are still there and that if we really want to, we can still grasp them.”


Giangiacomo Schiavi [introduction for the book Milano 2015, di Carlo Orsi ed. Skira]

Photo by me: Milano, Corso Vittorio Emanuele (2018)


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“Da che parte è Milano, Dove è Milano e cosa rimane di Milano ?

Dai e dai, è sempre così che si comincia, aveva ragione Buzzati, ha ragione Aldo Nove, bisogna mischiare le carte, fare un giro in centro e uno in periferia, viaggiare in bus e in metrò, ma poi anche sul tram, il quattordici (of course), con la ressa, l’odore, i tatuaggi, il piercing, i Cinesi, i Marocchini e gli Zingari, ussignur, e provare a chiedere se è una città aperta o una città spersa, un luogo vitale o soltanto informale, la capitale dell’incontro o quella dello scontro, un alveare di incomunicabilità o una tenebrosa maestà, invecchiata, rinnovata, sorpresa dai grattacieli e dalla darsena, perduta e ritovata, con il bike sarin, il cuore ondeggiante e la coscienza civile traballante.


Capita sempre che si abbia nostalgia della città, el nost Milan, pur abitandoci, vivendo il meglio (e a volte il peggio) degli anni, i sessanta, i settanta, gli ottanta da bere, i novanta da bruciare e il lungo duemila, quando la città è stata abulica spettatrice dell’assalto alla diligenza con i cannibali infiltrati nei partiti, a destra e a sinistra.

Poi senza scope volanti, Duralluminio e Cerruti Gino, c’è stato un miracolo, un piccolo boom: l’Isola è diventata Manhattan, là dove c’era l’erba c’è una città, Milano è pop & chic, ligèra, moda, schighèra, design e anche skyline.


Dai e dai, Milano c’è. Sparsa, a strati, anelli, cerchi o frammenti, con gli stilisti che si incrociano, i musei che si rinnovano, le idee che si rincorrono.

E le fotografie che la raccontano, diversa eppure eguale, intensamente bella, vagamente triste, con l’Expo che l’addobba e porta il mondo in casa.

Milano: lavoro, studio, fatica, passione, fame, sprechi, diritti, dignità, ricostruzione e rammendo.


Quel che funziona diventa eccellenze, qual che appena si muove si chiama risveglio. O forse no, è solo speranza, voglia di futuro, invito ai giovani, coraggio di dare l’esempio. Che bello sarebbe poter dire che i treni delle opportunità passano di qui e con il cuore, se vogliamo, si possono ancora prendere.”


Giangiacomo Schiavi [introduzione al libro Milano 2015, d Carlo Orsi ed. Skira]

Foto di garaz: Milano, Corso Vittorio Emanuele – Dicembre 2018

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